giovedì 20 agosto 2015

Il dilemma della birra aperta

Preambolo

Immaginate: è lunedì sera. Non uno di quei tristi lunedì in cui i buoni propositi di iniziare la dieta hanno resistito fino al tramontar del sole. Piuttosto uno di quei piacevoli lunedì che, gastronomicamente parlando, risultano essere dei simpatici prolungamenti del week-end.
Il menù della serata prevede würstel e patatine. Pagnottelle per hot-dog, salsa rosa e coca-cola ghiacciata. In freezer il gelato ti attende impaziente.
Il livello di endorfine ha già raggiunto picchi degni di una puntata di Esplorando il corpo umano.
Così, travolto da un'euforia cieca, ti viene in mente di avere una birrona fredda che avevi cominciato a trangugiare nel pomeriggio. Gli impulsi del cervello hanno smesso già da tempo di essere filtrati dalla coscienza razionale. Così ti decidi a prelevarla dal frigo e a metterla in tavola. Il problema è che stasera a cena c'è anche tua cognata. Che, come messasi d'impegno a voler confermare una qualche Legge di Murphy, prima che il fondo della bottiglia tocchi il tavolo, ti fa: “Che bello, la birra! Ne voglio un po' anch'io”.
Svanisce l'incantesimo.
Non sei nell'Empireo, ma sul pianeta Terra, a casa tua, e tua cognata vuole la birra, l'unica presente in casa. Quella birra che quando nel pomeriggio hai preso a scolarti selvaggiamente dalla bottiglia, non ti è passato nemmeno per un istante di versare in un bicchiere. Panico!

PROBLEMA – parte 1

Un altro zotico come te.
Un primo livello di conflittualità: cosa fare quando le norme di educazione che ti richiedono di soddisfare ogni ragionevole desiderio di un ospite cozzano contro l'etichetta che impone di non servire ai tuoi ospiti alimenti o bevande che abbiano perduto la virginea sacralità del “giuro che quello che ti offro non è entrato in alcun modo in contatto con la cavità orale di un altro essere umano prima di te”, implicito in ogni offerta di cibo o bevanda? Dirlo o non dirlo che hai bevuto dalla bottiglia?


Too easy!

Se ci trovassimo al Campionato Mondiale di Pippe Mentali, comunque, questo qui non sarebbe che il livello per principianti.
Tra le due istanze esposte nel Problema, infatti, la seconda ha una priorità chiaramente più alta. Ovvero, se sei ospite a cena da qualcuno, chi se ne frega che un tuo desiderio non venga assecondato, se ciò significa evitare di bere birra in cui la probabilità che siano presenti residui salivari di qualcun altro è piuttosto elevata.

Annuncio di un “PROBLEMA – parte 2”

Devi dirglielo, quindi.
Ma preparati ad essere fiero di te: stai per qualificarti al Livello per Esperti del CMPM.
È adesso, infatti, che il cuore di tutta la faccenda comincia a pulsare in maniera vibrante.
Se una persona ti chiede di bere la birra che hai in mano, ammettere di aver bevuto dalla bottiglia non riesce, purtroppo, a chiudere la discussione senza possibilità e necessità di replica. Non come ci riuscirebbe, ad esempio: “Non è birra. È pipì”.

Riflessione preambolica riguardo i motivi per cui il PROBLEMA – parte 2 è ben più ostico del PROBLEMA – parte 1

La tua confessione avrà la tanto spiacevole quanto ineludibile conseguenza di obbligare il tuo ospite a prendere una decisione. Perché bere dallo stesso contenitore da cui ha bevuto un'altra persona, non è qualcosa di universalmente accettato come sconveniente o, che so, pericoloso. Non in tutti i casi, comunque. Nessuno di noi si sognerebbe di bere da una bottiglia trovata aperta in un parco. Mentre la quasi totalità delle persone berrebbero senza problemi dalla stessa bottiglietta da cui ha bevuto il/la fidanzato/a.
Ma tra questi due estremi – un perfetto sconosciuto e la persona con cui hai la massima intimità fisica – esistono tutta una serie di livelli intermedi. E a seconda del livello in cui il tuo ospite ti avrà relegato nella sua personale griglia, sarà o non sarà disposto a bere dalla tua stessa bottiglia.
Perciò, al netto del differente grado di misofobia diagnosticabile in un essere umano, tutta la questione risulta essere, in ultima analisi, una mera richiesta di esplicitazione del livello di intimità fisica che quella persona ritiene di aver raggiunto con te. Come se porgendole la birra, ti mettessi lì a fissarla e le dicessi: “E allora, di': ti faccio schifo sì o no?”. E il tuo ospite sarà costretto a risponderti. Senza mezzi termini né tempo per riflettere.
Certo, forse vorrà bere comunque, e allora... fiùùù, pericolo scansato.

Toh, una birra abbandonata in un parco. Qualcuno vuole favorire?
Ma forse, alla luce dei dettagli emersi a proposito di quella birra, vorrà desistere. E sarebbe perfettamente legittimato a farlo. Magari abbasserebbe lo sguardo, si ritirerebbe indietro e ti direbbe qualcosa come: “Oh, hai bevuto dalla bottiglia? Hm, ok...”. Il problema sarebbe che questo “Hm, ok...” se ne starebbe lì appeso nell'aria per qualche secondo, precedendo un silenzio pesante. Perché tanto tu che tua cognata sapreste che in quei puntini sospensivi, in quel silenzio denso di non-detti, vigerebbe un implicito: “A pensarci bene, hai ragione: bere dalla tua bottiglia mi fa un po' schifo”. Che, per come la vedo io, credetemi, va bene. Il grande problema non è che il suo rifiuto di bere possa arrecare uno smacco insopportabile al tuo orgoglio di persona sana e pulita.
Il vero grande problema è quel silenzio pesante, quello sguardo abbassato e quel tirarsi indietro. La voce che le trema, il sorriso nervoso e l'imbarazzo marchiato sul suo volto. Non perché tu sia dotato di una sensibilità superiore. Ma perché sai che in una conversazione cordiale e onesta, l'imbarazzo dell'altro diverrebbe il tuo imbarazzo.
Sarebbe stato meglio se la pipì in quella bottiglia, tu ce l'avessi fatta per davvero.

PROBLEMA – parte 2

A conti fatti, ti ritrovi in un vero e proprio inferno dell'anfitrione.
Un tuo ospite ti ha chiesto la birra.
La tua coscienza ti impedisce di versare la birra al tuo ospite senza fargli presente di aver bevuto dalla bottiglia.
Un'arzigogolata riflessione ti consiglia di evitare di dire la verità al tuo ospite per evitare di trasformare la cena a casa tua in un pasticcio di domande imbarazzanti e risposte imbarazzate separate soltanto da silenzi che altro non sarebbero che la quintessenza dell'Imbarazzo.
Stando così le cose, il problema si è evoluto in: come fare a negare la birra a tua cognata senza passare per un maleducato?

"Madame Bovary... c'est moi"

Mi rendo conto che continuare a voler far passare tutto ciò come il frutto di mie inquietanti speculazioni parossistiche è a dir poco disonesto, oltreché inutile. Giù la maschera dunque, il barbaro sono io. Lo zotico che ha bevuto la birra dalla bottiglia senza ritegno. Un lunedì sera. Con mia cognata a cena qui. Una mia cognata che vorrei restasse anonima, e che perciò mi limiterò a definire “la fidanzata di uno dei miei fratelli più piccoli”.

Tutto quanto scritto finora non è che il distillato metafisico della goccia di sudore freddo scivolatami lungo la schiena alle parole: “Che bello, la birra! Ne voglio un po' anch'io”.
Ciò che segue, invece, è la reazione delle mie sinapsi al casino in cui mi ero cacciato.

Vani tentativi di soluzione a buon mercato

Ebbene, ho passato in rassegna diverse possibili soluzioni: ho pensato di dissimulare egoismo (“La birra è mia e me la scolo tutta io”), avidità (“Certo, potrei anche dartene un po', se mi dai un contributo per i soldi che ho speso”), sordità improvvisa (glugluglu... “Dicevi, della birra?”), rabbia da alcolista furioso (“Il primo che tocca la mia birra, gli stacco le mani a morsi”). Ma tutte venivano meno al presupposto fondamentale di voler essere un buon anfitrione.

L'ideona

In cerca dell'ispirazione per questo post.
Il meglio che le mie sinapsi sono riuscite a produrre è stato: “Non posso dartene, ho bevuto dalla bottiglia. Se vuoi, puoi anche berla. Ma io non berrei mai da una bottiglia da cui hai bevuto tu”. Sulle prime non sembrerebbe, ma questa risposta è davvero l'unica cosa sensata che mi sono sentito di dire. In fondo riusciva a mettere in pace la mia coscienza di buon essere umano, che insisteva affinché mettessi mia cognata a parte del mio peccatuccio (“Non posso dartene, ho bevuto dalla bottiglia”), permettendo che fosse lei a decidere se voler bere o no, così da non scalfire la mia ambizione di essere un padrone di casa ospitale (“Se vuoi, puoi anche berla”),  rendendo comunque perfettamente legittimo un suo rifiuto di bere, in virtù di un evidente principio di reciprocità (“...io non berrei mai da una bottiglia da cui hai bevuto tu”).

Epilogo

Ciò che le mie sinapsi non avevano previsto, semmai, è che il mondo non si esauriva alla soluzione di tale dilemma. Sarebbe andato avanti.
E infatti, uscito dall'angolo in cui mi ero ficcato da solo, uscito da quella situazione da “fight or flight”, l'adrenalina ha preso a calare, molto rapidamente. E ben presto mi sono reso conto di essere riuscito in un piccolo miracolo di eloquenza. Con una manciata di frasi istintive, sono riuscito a trasformare quello che era un problema di mia cognata in un mio problema. Adesso ero io ad aver ammesso di essere un ipocondriaco fissato. Solo per evitare che fosse lei ad essere posta nella situazione di doverlo dire a me.

Così, quando la pressione è diventata insostenibile, e visto che non c'era pericolo di sembrare più imbecille di quanto non apparissi già, ho deciso di confessare. Ho perciò sottoposto l'intera questione a tutta la tavola, esponendo il terribile Dilemma che mi sono trovato a vivere in quei pochi ma oltremodo intensi istanti, punto per punto.
Morale della favola: mia cognata la birra non l'ha più voluta. Non tanto per reali motivazioni igienico-sanitarie, credo. Con tutta probabilità sono semplicemente riuscito a farle passare la voglia.
Almeno a giudicare dal fatto che quando ho finito di esporre il Dilemma, e le ho chiesto di esprimersi sulla questione, il suo parere si è ridotto a un semplice ma estremamente eloquente: “Tu over sì scem”.

Badate bene: non ha detto “un pessimo anfitrione”, o “uno sgradevole essere umano”. Ha detto che song scem. Direi che il Dilemma è stato brillantemente risolto.