venerdì 25 gennaio 2013

Biblioteche a confronto

La situazione drammatica della BRAU

Le ore di apertura al pubblico della BRAU, la Biblioteca di Ricerca di Area Umanistica della Federico II, sono state drasticamente ridotte. Dal 7 gennaio infatti, altri due giorni della settimana sono stati falcidiati dalla mannaia del ridimensionamento. Oltre al venerdì, adesso anche al lunedì e al mercoledì la BRAU chiuderà alle 14, in anticipo di tre ore sul già malinconico orario di chiusura regolare.
La motivazione che campeggia sui fogli di avviso all'utenza è la carenza di personale.
Il che è un pugno nell'occhio, un insulto sardonico verso una popolazione, quella napoletana, che vede nella disoccupazione uno dei suoi mali paradigmatici. Ma lasciamo stare rivendicazioni da "'O posto ce sta, e nun ce 'o vonno dà". In questi tempi di crisi economica e di scure posta alla radice della cultura, come di altro, in nomini austerity, capisco non ci sia posto, appunto, per nuove assunzioni.
Ciò che faccio fatica a capire è il perché della differenza paradossale tra le difficoltà della BRAU a garantire il servizio minimo dell'apertura e la gozzovigliante abbondanza della più grande biblioteca di Napoli, la Nazionale.
Difatti, mentre la BRAU opera a mezzo servizio per mancanza di personale, la BNN trabocca di lavoratori. Già appena giunti nell'ingresso al pubblico della sede centrale, si è accolti anche da 4 o 5 dipendenti, lì dove in 2 sarebbero grasso che cola. Sembra quasi non ci sia spazio per tutti; potete scommetterci che al mattino litigano per le sedie.
Ma sono tutti gli uffici ad avere semplicemente troppi dipendenti. Basta farsi un giretto al primo piano per rendersi conto che alla BNN c'è un esubero di personale spaventoso. Riesce difficile vedere un ufficio con meno di 4 persone. Che, se ci fosse davvero una mole di lavoro adeguata, sarebbe ovviamente legittimo averne anche più. Ma il sospetto è che molti dei lavoratori della BNN siano stati assunti per tenere compagnia ai colleghi che già vi lavoravano. Io non ce l'ho con loro, coi dipendenti della BNN; sono certo che fanno il loro meglio per far funzionare la biblioteca al massimo delle sue possibilità. Il punto è che una volta fatto il loro meglio, non rimane più nulla da fare; comunque non per tutti loro. E quindi li vedi lì, a chiacchierare, a litigare, seduti, annoiati, costretti a stare lì in quell'ufficetto troppo piccolo, in 5 o 6, a stretto contatto, che se lo viene a sapere Pannella uno sciopero della fame ci sta tutto; e sembrano i protagonisti di un nuovo reality. Metteteci qualche telecamera e vi posso assicurare che l'idea non è male.
L'ufficio fotocopie avrà davvero bisogno di 5 persone? E l'ufficio informazioni quale misteriosa funzione suppletiva svolge per necessitare dello stesso numero di impiegati? E perché mai, nella guardiola del portico d'ingresso di Palazzo Reale, dove gli unici impicci alla lettura del giornale sono controllare che non entri nessun uomo col bazooka e armeggiare con la sbarra elettronica per permettere il transito dei veicoli, perché mai dico, c'è bisogno di due uomini? Uno alza la sbarra e l'altro la abbassa?
Io faccio un appello. Che può apparire una provocazione soltanto perché ci siamo ormai abituati all'idea che i cittadini siano stati inventati per la burocrazia e non la burocrazia per i cittadini.
Non sarebbe possibile una qualche forma di collaborazione tra i due diversi ministeri da cui le due biblioteche dipendono, per il bene di Napoli? Dal momento che - e mi mantengo basso - almeno un quarto dei dipendenti della BNN hanno l'unica funzione di rappresentare un emblema del feroce assistenzialismo adottato a Napoli nelle sfere pubbliche a qualsiasi livello, non si potrebbero mandare un paio di dipendenti in soccorso alla BRAU? Tanto i dipendenti della BNN bisogna pagarli lo stesso, magari li "sfruttiamo" per una giusta causa.
Mi rendo conto che sarebbe un problema, perché sono dipendenti di enti pubblici diversi e magari bisognerebbe cambiargli il contratto, e forse non vorrebbero cambiare sede di lavoro e complicazioni di ogni tipo. Ma insomma, non si potrebbe adottare una formula calcistica, una sorta di prestito con diritto di riscatto? Poi magari quando le cose alla BRAU (o in Italia) si aggiusteranno, la Federico II potrà assumere qualcun altro, la Biblioteca resterà aperta più a lungo, con orari da vera biblioteca, e i dipendenti in prestito dalla BNN potranno tornarsene a litigare al mattino per la propria sedia.
La BRAU è una risorsa preziosa e un fiore all'occhiello non solo della Federico II, ma di tutta Napoli. Vanta un patrimonio librario enorme. È una biblioteca a scaffale aperto, di quelle che a Napoli si vedono solo nei film, perché in altre biblioteche per ottenere la consultazione di un testo bisogna riempire moduli su moduli, che invece di leggere un libro sembra si sia richiesta l'adozione di un bambino.
Spero vivamente che non si lasci spegnere questa fiammella di cultura, accesa nel cuore di Napoli.
E, volutamente alla fine, in un accesso di auto-consapevolezza del valore assegnatoci dalla società, segnalo che sarebbe anche una forma di rispetto verso noi studenti. Ogni anno ci vediamo aumentate le tasse; in cambio diminuiscono i servizi. Un altro paradosso. Non sembra anche a voi che a volte il mondo vada al contrario?

Potrebbe interessarti:http://www.napolitoday.it/economia/situazione-drammatica-brau.html
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Ho inviato l'intervento a qualche sito e giornale.
L'hanno pubblicato:
- il Corriere dell'Università
NapoliToday
- l'edizione di Napoli di Repubblica

lunedì 7 gennaio 2013

Dell'abolizione del libretto universitario



La notizia è questa: alla Federico II, a partire dall’anno accademico in corso, le nuove matricole non riceveranno il libretto universitario. Si è deciso di abolirlo per accogliere due diverse istanze, pare: quella della dematerializzazione cui tende la pubblica amministrazione da una parte; e dall’altra, il desiderio di alcuni studenti di ricevere un giudizio più equanime ai propri esami.
Lasciamo perdere l’aspetto burocratico e prendiamo in considerazione l’altra faccia della medaglia. Da questo punto di vista, la decisione è, in astratto, sicuramente una bella cosa, e si basa su un principio fondamentalmente giusto: i professori devono essere oggettivi nel valutare la preparazione di uno studente, senza condizionamenti di sorta.
La conquista (così l’ho sentita chiamare: la Conquista), è stata accolta quasi come una svolta epocale. Uno spartiacque in grado di scindere la storia dell’università in un prima illiberale, quasi un medioevo accademico, e un dopo da “età dei lumi”, finalmente libero di proiettarsi verso una giustizia perfetta. D’ora in avanti nell’università napoletana regnerà la rettitudine. Oltre alla libertà, l’uguaglianza e la fraternità.

La cosa, in realtà, è un po’ più complessa. Non sono convinto che fosse davvero lui, il Libretto, il nemico da combattere. O comunque, non per primo.
Un professore, per ragioni indipendenti da lui, è chiamato a valutare la preparazione di svariate decine di studenti, magari in un solo giorno. E ognuno di essi deve mostrare, in un quarto d’ora, il grado di preparazione raggiunto su un programma che può prevedere le 800 pagine di un manuale, un saggio monografico e tre testi classici della materia trattata.
E c’è qualcuno che ha il coraggio di esultare per la Conquista!
È chiaro che ogni condizionamento può essere sempre sbagliato. Ma viste le condizioni in cui i docenti devono valutare i candidati, più che un meschino turbamento, il libretto era da ritenersi un ulteriore elemento a cui il professore poteva fare riferimento. Cavolo, è chiaro: non l’unico. Ma se un professore arrivava a mettere un 30 ad un esame che valeva 22, solo in virtù di un libretto sfavillante, il problema mi parrebbe più profondo. Un simile sfoggio di incompetenza non si risolverà certo ghigliottinando il demonizzato libretto.

Questa decisione è stata semplicemente il frutto dello spirito del tempo. In nome di un vago concetto di democrazia ed egualitarismo, si è sacrificato sull’altare dell’ideologia quel pragmatismo necessario per condursi in situazioni estreme. Invece di cercare soluzioni a qualcosa che non va,  – le valutazioni imprecise dei docenti – si è pensato di estirpare il male dal sistema con un metodo più appariscente che efficace.
Come accorciare i tempi per la prescrizione perché la giustizia va a rilento.
Come vietare alle auto di circolare e avere mezzi di trasporto penosi.
Nessuno vuole che un processo duri 10 anni o che l’inquinamento ci ammazzi tutti. Ma i problemi vanno risolti, non aggirati. Il libretto non è un mezzo divino inviato dal cielo per garantire la meritocrazia. Eliminare il libretto era doveroso. Ma a coronamento di una riforma veramente utile e non come azione ideologica che ha tutta l’aria della polvere gettata sotto il tappeto.

D’altra parte, pensare che i professori siano completamente asettici, immuni da qualsiasi stimolo che possa turbare la loro capacità di giudizio è pura utopia. Un qualche tipo di condizionamento l’avranno sempre. E io preferisco mille volte che il professore venga condizionato dal mio libretto piuttosto che da altro. Se non sarà il libretto a dare qualche informazione suppletiva al professore, significa puntare tutto sull’abbigliamento, sul servilismo, sull’andare a ricevimento ogni settimana “per farsi vedere”, sul fare interventi banali durante le lezioni, sull’avere un bel paio di… occhi.
Il libretto poteva sì esercitare un tipo di condizionamento; ma di tutti i tipi possibili, il suo sembrava quello più equo, più fondato su una motivazione logica. Era una forma di pressione che, quando funzionava, lo studente s’era conquistato sul campo. Nessuno gliel’aveva regalato. Non gli era stato assegnato un potere di condizionamento iniziale, magari in base al reddito. Non c’erano baroni nascosti, dietro questa prassi.

La leggenda che narra di ragazzi sfavoriti dall’avere un libretto mediocre, che non riescono mai, per tale motivo, a prendere voti alti, è una cavolata priva di fondamento. Uno studente che ha 24 di media, ha quella media per il semplice motivo che quella meritava. Forse 24.5, ma insomma. E non lo dico da fortunato che ha preso 30 e lode i primi due esami. Dovessi ripartire altre dieci volte da zero, vorrei sempre partire con la possibilità di esibire il libretto e la speranza che il professore lo apra.

Ma ora giustizia è fatta. Il libretto non c’è più. Adesso tutti i ragazzi che prendevano 22 o 23 ai loro esami possono ambire a prendere, una volta nella vita, un bel 27; toh, un 28.
Il libretto, per un professore intelligente, non è mai stato il pontefice che parla ex cathedra. Non di rado ho sentito professori invitare studenti particolarmente brillanti a ripresentarsi la prossima volta, per non rovinargli la media. Per contro, conosco persone che hanno preso 30 e lode a qualche esame, nonostante medie poco brillanti. Per poi tornare, dopo quell’exploit, a ricevere i loro affezionati 24 e 25.

In un sistema che fa acqua da tutte le parti, prendersela con uno dei pochi baluardi in difesa degli studenti in gamba mi sembra una vigliaccata. Tanto più che è stata voluta da studenti. Un suicidio, parrebbe. Ma i benefattori delle nuove leve si sono ben guardati dall’applicare i frutti della Conquista anche a sé stessi. No, le nuove disposizioni hanno effetto solo per i nuovi iscritti. Questo perché hanno pensato che potesse essere ingiusto cambiare, per una persona già avviata in un certo modo. Già, lasciamola ai posteri questa ricchezza inestimabile che abbiamo faticosamente agguantato.

Del resto c’è una domanda che mi assilla: come può dormire tranquillo chi ha promosso questo cambiamento? Se ha ritenuto che un uomo o una donna, laureati e abilitati all’insegnamento, e abbastanza in gamba da entrare in un’università prestigiosa come la Federico II, non fossero abbastanza maturi da permettere al libretto di dare non più di una mera indicazione. Ora, questi stessi uomo e donna, dovrebbero giudicare gli studenti affidandosi ai 15 minuti loro concessi. Non è un controsenso?
Le persone che hanno manifestato così tanta sfiducia verso gli insegnanti, come possono pensare con fiducia che questi sappiano cogliere, durante la valutazione di un esame, la differenza tra un 27 e un 28? Se un professore è indeciso se dare o meno la lode allo studente che ha di fronte, che male c’è se per trarsi d’impaccio ricorre al libretto, che magari gli mostra che già in due esami passati quello studente ha preso 30 e lode, proprio con lui?
Non era meglio correre il rischio che, ove mai ci potesse essere condizionamento, questo andasse a premiare i più bravi e “sfavorire”, o non favorire, i mediocri?
Mi rendo conto che il discorso puzzi di aristocratico. Ma io di aristocratico non ho nulla. A me basterebbe che venisse visto come un mero desiderio – in mancanza dell’originale – di simil-meritocrazia.